31 luglio. Per vivere ci vuole una casa.


Gli occhi sono pieni di ciò che abbiamo visto, impossibile descrivere tutto. Una realtà viva che non perde tempo a piangersi addosso. Per esempio basta pensare che una famiglia con due figli con entrambe i genitori che lavorano non riesce a coprire le spese per il solo cibo. Non si piangono addosso, cercano continuamente le ragioni per ripartire. Queste ragioni le trovano nei volti dei frati: “senza di voi saremmo già partiti” dicono alcune giovani coppie.


Ciò che salva non è avere l’abitazione, magari con l’aiuto di qualcuno, ma scoprire di avere una casa che è madre: la Chiesa. La casa di cui abbiamo bisogno non è un edificio, ma luogo di relazioni autenticamente fraterne così come la prima comunità degli Apostoli ci mostra, una condivisione totale per la certezza che un’Altro c’ha messi assieme. Così si diventa casa anche per chi cristiano non lo è, come abbiamo visto in questi giorni.


Quando la Chiesa è fedele alla sua missione, è se stessa, diventa questa casa per tutti. Magari qualcuno rimane solo ospite, ma non può farne a meno, anche questo abbiamo visto.


Anche in un contesto di guerra o di qualunque altra difficoltà l’importante è avere questa casa. Così ti senti sempre nel posto giusto, qualunque cosa ti accada.

È questa l’impressione che ora ho dei siriani: quando incontri uno straniero nel tuo paese ti sembra solo uno straniero, quando lo incontri nel suo paese, vivi quattro giorni a casa sua, ti sembra come te: stessi dolori, stesse gioie, stesse speranze, stesse paure… Forse anche per questo Dio ha deciso di incarnarsi. Non ha voluto soltanto raggiungerci dall’alto, ha voluto essere uno di noi. Così lui per primo ci ha riconosciuto fratelli.

“Venire voluit qui potuit subvenire” Ha voluto venire di persona colui che poteva accontentarsi di aiutarci da lontano. San Bernardo

30 luglio. Il dolore ha un senso.

Anche la vita durante la guerra mantiene le esperienze più ordinarie.
Stamattina abbiamo visitato il cimitero che durante la guerra è stato più dimenticato che abbandonato. Durante la guerra si è utilizzato un terreno dello Stato perché la zona dei cimiteri era campo di battaglia.


Da quando è stato possibile, nel mese di gennaio, la parrocchia ha deciso di ridare una dignità a questo luogo significativo per la vita dell’uomo. Anche qui, forse soprattutto qui, gli uomini non vogliono più guardare alla morte.


Oltre al dolore per un lutto, c’è anche il dramma di non avere la possibilità economica per dare una degna sepoltura ai propri cari. La parrocchia sostiene e accompagna per tutto ciò che riguarda la celebrazione del funerale e la sepoltura dei defunti che non hanno nessuna possibilità economica.

Il desiderio di padre Ibrhaim è soprattutto quello di rieducare la propria gente a riconoscere che non c’è più un muro di separazione tra il cielo e la terra: non si possono dimenticare i propri cari. La visita al cimitero, la preghiera di suffragio è decisiva per tenere vivo questo legame.

Poi abbiamo visitato l’ospedale delle suore della congregazione di san Giuseppe dell’apparizione, dal 1856 ad Aleppo.

L’ospedale è privato e in questi anni tutte le suore hanno deciso di rimanere in città. Hanno assistito tutti feriti di guerra che venivano portati.

Eppure finita la guerra, non finiscono le situazioni che hanno bisogno di cure significative: molti hanno problemi seri alla schiena, probabilmente per lo sforzo nel portare i secchi d’acqua su per le scale, molti sono mutilati, molti hanno problemi psicologici dovuti ai traumi per ciò che hanno visto, molti bambini nati e vissuti per anni sotto le bombe con conseguenze ancora da capire.


Suor Arcangela ha cominciato a raccogliere i proiettili e trasformarli in segni religiosi. Questo per lei rappresenta il popolo d’Aleppo mutilato.


Nel primo pomeriggio siamo andati a portare l’Eucarestia a padre George. Da 29 anni sulla carrozzina per l’errore di un medico in sala operatoria. Vive in un appartamento a pochi passi dalla parrocchia. Assistito dalla sorella anche lui si trova con le difficoltà di tutti: per esempio la corrente elettrica a tutt’oggi c’è soltanto un’ora al giorno, quando c’è. Per il resto quasi ogni famiglia ha un generatore con motore a benzina in casa.


Ancora in pieno servizio presso il Vicario Armeno Cattolico e come direttore spiritale di molti. La nostra visita lo commuove. Uomo di fede, sofferente e lieto. L’ennesima testimonianza di Cristo che pota la croce.

29 luglio. La Chiesa è famiglia.

Nel tardo pomeriggio abbiamo incontrato delle giovani coppie di fidanzati e sposi che seguono il cammino proposto da padre Ibrahim.
Giovani con le preoccupazioni di tutti: la casa, il lavoro, il rischio di essere chiamati per il servizio militare che ti porterebbe chissà dove.

Ascoltandoli riscopriamo che la fede non è mai automatica. Non basta avere una tradizione consolidata. È sempre un decisione. C’è sempre qualcuno da seguire. 

29 luglio. La vita è dove c’è la fede.

Abbiamo incontrato il Vicario Apostolico dei latini monsignor Georges Abou Khazen OFM. È il saldo riferimento per la Chiesa d’Aleppo. Nel patriarcato dove abita ospita le suore di Madre Teresa che, come quasi la totalità degli ordini cattolici, non hanno abbandonato la città. 

Sono presenti dall 1987 ospitano 55 anziani soli, alcuni arrivano dall’ospedale psichiatrico occupato dai miliziani. Assistono i più poveri della loro zona e fanno un piccolo oratorio estivo.


In mezzo a così tante macerie è incredibile trovare tanta umanità.

29 luglio. Ricostruire per tornare a vivere in Aleppo.

Abbiamo visitato il quartiere di Midàan, uno dei più colpiti, quasi completamente abitato da Armeni. In molti angoli della città fino a 6 mesi fa non si poteva entrare. Cadevano dai 3 agli 80 missili al giorno.

I cristiani di qualunque confessione presenti in Aleppo sono il circa il 2% del totale della popolazione, gli Armeni sono circa la metà. Gli Armeni sono presenti in Aleppo dall’epoca della persecuzione che lì ha costretti a fuggire dalla loro terra, molti hanno trovato rifugio in Libano e in Siria.


Visitiamo una struttura dei gesuiti completamente distrutta. Qui ogni giorno si distribuiscono 1500 pasti caldi in questo cortile. Ora, con una iniziativa sostenuta dai francescani, stanno preparando un progetto per ricostruire dei palazzi che porterebbero dalle 60 alle 80 abitazioni per chi non avendo più una casa è stato costretto ad andarsene.


Abbiamo anche visitato dei palazzi in cui sono in atto dei progetti della parrocchia per sistemare gli appartamenti distrutti sempre per riportare ad Aleppo le famiglie che desiderano tornare e non hanno più casa, oppure che abitano nella casa danneggiata. 570 case sono già state riparate e consegnate. In media ne rendono disponibili 50 al mese. È un progetto di grandissima importanza per la presenza cristiana qui ad Aleppo, che i francescani hanno lanciato dal 2016, cioè mentre ancora cadevano i missili sulle abitazioni, per dare un segno visibile di speranza alla gente.

Questo è uno dei palazzi distrutti da una bomba che sarà ricostruito con il progetto della parrocchia, che procurerà il ritorno di 8 famiglie cristiane che stanno aspettando di tornare a casa. In questo edificio un giovane, definito “unico” da padre Ibrahim, ha perso la vita sotto le macerie. Gli occhi di suo padre non hanno ancora consumato tutte le lacrime dalla tristezza… Nella foto si vedono i segni della vita quotidiana nel momento del bombardamento.

Un anziano del luogo ci ha raccontato che vedeva i terroristi scagliarsi contro i carri armati anche solo con un pezzo di ferro. Inoltre non si accontentavano di uccidere chi avevano di fronte, tendenzialmente cittadini inermi, ma li sventravano e squartavano. È chiaro che assumevano droghe sintetiche che li rendevano distanti dalla propria e altrui umanità.

28 luglio. Oratorio estivo


All’inizio della guerra l’oratorio estivo è stato interrotto. Tutti l’avrebbero interrotto. Ovvio. Ma 3 anni fa se ne sentiva la mancanza! E così i frati della parrocchia hanno proposto di iniziare nel bel mezzo della guerra. Troppo pericoloso, direbbero i prudenti. Un’avventura necessaria, dice l’uomo di fede. A posteriori è più facile riconoscerlo. Ma i veri profeti si riconoscono solo a profezia adempiuta: il primo anno avevano 250 bambini, l’anno scorso 350 circa. Quest’anno 856!

Due mesi di vita vita insieme. Dalle 8.30 alle 13.00 tutti i giorni da lunedì a sabato, con l’aggiunta di gite e piscina. Ogni giorno si inizia con un’ora di catechismo, lettura del Vangelo e racconti della vita dei santi. Con 60 animatori, catechisti e professori. Tutti guidati da suor Natalì, delle suore del Rosario. Alla domenica tutti a messa e dopo festa assieme. La domenica, veramente il giorno del Signore.

Infinite attività, di musica, teatro e altro con l’attenzione ai drammi dei bambini che hanno vissuto in questi anni. Molti di loro sono segnati dalla paura con reazioni cutanee ancora evidenti, alcuni con ciuffi di capelli bianchi.


Durante la serata finale tutti i ragazzi erano sul palco. Presenti a guardarli solo due persone per ogni bambino, per ovvi motivi per di spazio: almeno 2500 persone presenti.

Una madre ha detto a padre Ibrahim “hai dato ciò che noi sognavamo di dare ai nostri figli”

28 luglio mattino. Questo è il miracolo, che la Carità riesca ad operare.

Abbiamo visitato dei quartieri distrutti: piazza Farhaàt, Sahetil Hatab, Babal Hadid, Città vecchia, la Grande Moskeya, la Citadella.

Quando il 22 dicembre Aleppo è stata proclamata libera, entrando nelle parti della città prima occupate, hanno trovato le riserve di cibo dei ribelli utili per 5 anni e tantissime armi. I miliziani ribelli erano d’un centinaio di provenienze diverse oppure mercenari, pochi siriani, affiliati a circa 30 gruppi diversi. Avevano forze e risorse per andare avanti a distruggere gli altri quartieri. La liberazione di Aleppo è un miracolo secondo padre Ibrhaim.


Cosa ci fanno dei vasi di fiori sul terrazzo di quel palazzo distrutto?

L’uomo che ci vede salutare chiama la famiglia e ringrazia. Da piangere!

Ora c’è la paura che gruppi con disponibilità economica acquistino per lucrare o altro.
Tanti, tra cui i fidanzati che non sanno come pensare il loro futuro, si rivolgono a padre Ibrahim. Così sono nati i “piccoli progetti possibili”. Questa mattina ne abbiamo visitati alcuni: una pasticceria, un produttore di ghiaccio, un idraulico, una sartoria, un caffè, un oreficeria. Dopo aver valutato attentamente la fattibilità del progetto, la parrocchia sostiene l’inizio dell’attività con una piccola quota che i professionisti non hanno. Quando si sono presentati due giovani che non potevano sposarsi è nato il progetto del laboratorio di pasticceria: hanno affittato un locale, comperato un forno ed ora ci sono pure due giovani apprendisti. Padre Ibrahim ha commentato: “abbiamo guadagnato una famiglia, non se ne vanno!”. Il barista aveva venduto tutto dopo che una bomba aveva colpito il locale accanto. Ci ha confidato: “è stato incredibile vedere i nostri amici morti per strada, abbiamo venduto tutto e siamo scappati. Ora grazie alla parrocchia ricominciamo. Ci sono 200 progetti attivati e 300 in lista d’attesa.

Poi siamo passati a trovare la Caritas guidata dagli ortodossi dove abbiamo visto l’ecumenismo nella vita, non nei convegni. È nato un rapporto con la parrocchia latina che è un sostegno reciproco è una testimonianza impressionate. Tra gli altri ci sono 600 neonati mussulmani di giovani coppie assistiti per pannolini e assistenza medica molti dei quali con handicap. Abbiamo incontrato un cerebroleso e uno paralizzato. Alcuni giovani mussulmani che vengono aiutati vogliono conoscere Gesù, non sanno ancora che lo stanno già incontrando. Dice il responsabile ortodosso della Caritas rispetto al dramma della guerra: “beata colpa, beata la crisi”.

Siamo passati dalla commozione per la distruzione che abbiamo visto nelle prime ore alla commozione perché c’è qualcuno che guarda questi bambini, sostiene i giovani, abbraccia chiunque.
Purtroppo i giovani per evitare il servizio militare vanno in Libano. Chi inizi ora il servizio militare è destinato ad andare immediatamente in guerra con l’esercito governativo che ha liberato Aleppo, ma non si sa quando si tornerà. Alcuni giovani non tornano da 6 anni. La Siria si svuotata delle risorse migliori.
Comunque noi ci sentiamo sempre più a nostro agio tra il popolo siriano…

27 luglio. Aleppo


Caldo secco, vento mediterraneo, odore di gasolio, rumore dei motori dei generatori della corrente elettrica, clacson inutilmente insistenti… così si presenta Aleppo. Ma la vera accoglienza la troviamo da padre Ibrhaim e la sua gente.
In una città che prima dell’inizio della guerra aveva 4 milioni di abitanti, ora meno di 2 milioni. Non si sa quanti morti in questi 5 anni di guerra, la gente del posto dice più di 500 mila. Dal 23 dicembre 2016 la guerra qui è considerata definitivamente finita, anche se c’è ancora qualche piccolo strascico.

Città che stenta ad iniziare la ricostruzione, manca acqua, manca elettricità, mancano infrastrutture significative. Timidamente si vede qualcosa rinascere, come la nuova linea di corrente elettrica che stanno costruendo. La gente che vuole vivere, cominciare a riprendere qualche piccola attività commerciale o altre iniziative. Chi può apre un negozio, anche se non vende nulla o poco, hanno bisogno di ripartire.

In questo contesto incontriamo la prima realtà della parrocchia: la distribuzione di cibo ogni mese a circa 3000 famiglie. Oggi è il turno dei cattolici armeni, presenti con il loro parroco a ritirare il pacco cibo che li sosterrà per almeno tre settimane. Naturalmente si distribuisce a chiunque, ma l’organizzazione dei volontari richiede dei turni. Diversamente dall’Italia qui il pacco non arriva dagli avanzi della grande distribuzione, ma viene acquistato accuratamente da padre Ibrahim e i suoi volontari, scegliendo le cose migliori, quelle che si meritano i poveri.
Poi la visita alla scuola della parrocchia per bambini sordi, un germoglio nel deserto! Nessun altro pensa a loro.

Ed in fine l’ultimo regalo: il ritorno dei bambini dell’oratorio estivo dalla gita, la foto parla da sola.

Padre Ibrahim dice che la nostra visita lo aiuta a riconoscere i movimenti delle membra del corpo mistico di Cristo. A volte non ci pare coordinato, eppure lo è. Anche se si è lontani, anche se si fanno cose (apparentemente) diverse. Commuove pensare che siamo veramente uniti da Lui. Ma vederlo non ha prezzo.